La conservazione è originaria dell'area araba, in seguito rivista dagli spagnoli ed infine diffusa con ricettazioni differenti in diverse aree regioni: Spagna, Italia e America Latina quella che si può gustare nel Salento ha una sua particolare preparazione.
Il nome potrebbe derivare da Escha Apicii, cioè salsa di Apicio, autore del più antico libro di culinaria, in alternativa potrebbe essere d'origine araba: As-sikbāj, una pietanza a base di carne tipica delle aree arabe con simile preparazione. Vi sono testimonianze del preparato in Puglia sin dal Duecento.
Quella gallipolina nacque in seguito all'assedio dell'isola che per affrontare una condizione nè semplice nè breve portò gli abitanti a mettere a frutto la loro principale risorsa: il pesce. La scapece fu il modo semplice e sicuro di conservare per lungo tempo la loro principale risorsa.
La scapece è realizzata con tutti i tipi di pesci delle acque intorno all'isolotto che sono fritti e marinati in mollica di pane con aceto e zafferano. Tipica è la conservazione, allo scopo erano impiegate grandi tinozze di legno dette “calette”, ancora impiegate dagli ambulanti nelle numerose feste patronali del Salento.
Gli ingrdienti: pesci di piccole dimensioni del mare intorno alla penisola salentina: alici, sarde, occhiatine; olio, farina, aceto, zafferano e mollica di pane.
I pesci non vanno puliti ma lasciati così come sono essendo di taglia ridotta. Sono così fritti in olio e quindi disposti a strati ricoperti dalla mollica grattuguata e bagnata in aceto con lo zafferano disciolto. La tinozza è riempita strato dopo strato fino all’orlo e conservata in frigo. La scapece si consuma fresca senza alcun ulteriore tattamento.
Il gusto inconfondibile è sinonimo di festa patronale o di ricorrenze come l'8 dicembre giorno di digiuno in cui sul desco compaiono pucce, olive e scapece